Eterno
( parte 1 di 2 )
Il rumore dei loro tacchi rimbalzava
sulle pareti assestanti come lo avrebbe fatto una scura pallina di
plastica in una stanza quadrata, adorna di spogli muri bianchi
macchiati dal tempo e dagli aloni d'umidità che si spandevano sul
soffitto come lo avrebbero fatto le radici di una quercia su di un
fertile terreno chiaro. I bambini non erano inquieti quel giorno,
pensavano come ovvio che sarebbe stata una semplice ed allegra gita a
trovare i nonni in ospedale per via di un poco di semplice tosse che,
tuttavia, per non degenerare aveva bisogno di essere curata nel più
meticoloso dei modi; in un'apposita struttura medica.
- Dovrebbe essere questa. - Le parole
uscirono dalla bocca della giovane donna con timore ed ansia ma ciò
non di meno con fermezza e rigore, suo padre era stato ricoverato da
poco insieme alla madre per un tumore terminale ed i medici, da ciò
che avevano lasciato capire poco prima al telefono, non auspicavano
buone notizie - Almeno così penso. - Concluse esitando sull'opaca
maniglia d'ottone con la mano avvolta dall'abbraccio di un morbido
guanto di pelle di renna. L'uomo che la seguiva si chinò sulle
ginocchia per dire due parole ai bambini dopodiché si portò dietro
la moglie, cingendola con un braccio in vita e portando la mano
libera su quella della compagna incoraggiandola sopra la maniglia -
Adi, cara, dietro quella porta non c'è niente di più rispetto a ciò
che già sai. - Sorrise mostrando i denti bianchi parzialmente
nascosti dai peli dei lunghi baffi neri che gli scendevano
lateralmente fino al mento.
Lei, continuando ad opporre resistenza
con il braccio per non ancora aprire la porta, annuì e ricambiò il
sorriso in un breve istante di lucida consapevolezza che portò la
sua mano a spingere la maniglia verso il basso. Il corridoio era
vuoto, le pareti erano verdi e spoglie se non per qualche quadro
inespressivo che faceva sfigurare ancora di più le tavole d'anatomia
e gli avvertimenti sanitari racchiusi in sottili cornici di vetro
lucido. Non un rumore poteva essere udito se non i fischi ed i corti
suoni elettronici di macchinari accesi intenti a tenere in vita i
pazienti nel reparto d'ospedale di terapia intensiva; pesanti bombole
d'ossigeno, flebo ed altre strumentazioni che un bambino non dovrebbe
vedere. Effettivamente sarebbe corretto dire che i bambini non
sarebbero dovuti essere presenti ma la madre aveva insistito con il
capo reparto per fargli vedere un'ultima volta il nonno, da quello
che era infatti riuscita a dedurre dalla breve chiamata dell'ospedale
suo padre, come la madre, erano entrati in uno strano stato di piena
coscienza nonostante il cancro fosse arrivato a stadi impossibili da
arrestare e, di conseguenza, mortali.
- Venite bambini e mi raccomando di non
fare caso a quello che sentite, qui le persone vengono per riposare
ed alcune tendono a lamentarsi. - Aveva redarguito Adia scompigliando
i biondi capelli dei figli ed inarcando visibilmente le labbra
rassicurandoli.
- Se vengono qui per riposare perché
si lamentano, mamma? - Aveva domandato Ambra, la più piccolina,
spalancando i grandi occhioni azzurri per la curiosità e facendo eco
nel corridoio con la sua vocina alta.
La donna guardò verso il marito che
aveva impercettibilmente aperto le braccia
- Silenzio, tesoro, qui la prima regola
è il silenzio. - Le aveva risposto lei mettendole il dito indice sul
naso per poi porlo davanti alle labbra rosee e guardare Augustin, il
figlio più piccolo di circa sei anni, che mettendosi entrambe le
manine guantate di lana davanti la bocca annuì.
La famiglia mosse i primi passi
all'interno del corridoio dell'ospedale, la luce delle piccole e
tonde lampade fissate al soffitto si rifletteva con esile luce sulle
mattonelle in marmo del pavimento a scacchiera bianca e nera;
luccicando tal volta quando ancora umide di detersivo.
I loro nasi si arricciarono per via dei
forti odori che riuscivano a percepire: alcol, iodio, ammoniaca,
disinfettante ed un debole aroma chimico di limone che proveniva dai
bagni socchiusi, dove un mocio ed un secchio colmo d'acqua lasciavano
intuire che fossero in atto le pulizie pomeridiane. Una sola finestra
dava verso l'esterno ma la tendina di stoffa cadeva davanti pesante
sul parapetto interno come le pene che affliggevano chi era costretto
in quei letti anonimi, plasmati da troppa solitudine. Andando più
avanti passarono le stanze numero tre e sei sulla sinistra per quindi
arrivare alla nove subito davanti alla stanza degli infermieri, dove
la porta accostata lasciava a malapena sfuggire la bassa voce del
giovane capo reparto in carriera intento a discutere questioni
d'ospedale con gli infermieri di turno. I quattro si fermarono
davanti la porta della stanza numero nove, papà Jason sistemò le
giacche a vento dei due pargoli ed il cappellino in lana rossa sulla
testa del maschietto per poi rivolgersi alla moglie - Entriamo prima
noi, poi, se sarà il caso, faremo entrare anche i bambini. -
Propose.
- No. - Aveva sentenziato quella
fissando il numeretto in plastica nera sulla porta che aveva davanti
- Entro io, non voglio che i bambini restino qui fuori da soli, poi
verrò a chiamarvi. -
Non lasciò il tempo al marito di
controbattere che spinse la porta, priva di maniglia, verso l'interno
ed in un corto cigolio entrò all'interno della modesta stanza. La
luce era molto fioca e filtrava giallastra attraverso i rami di
un'alta quercia che sporgeva davanti al finestrino in volumetrici
raggi che si spandevano sulle tendine giallo sbiadito davanti al
vetro; anche quelle verdi pareti erano spoglie se non per l'alone
bianco lasciato dalla forma di un probabile crocifisso ed un
armadietto azzurro posto vicino al bagno privato.
Stesi sul letto c'erano i suoi genitori, lui la fissava con i suoi occhi azzurri ed un debole sorriso sopra la folta barba ancora bianca che scendeva fino al petto. Per sua espressa volontà non era stata tagliata, essendo quello un ospedale privato nessuno avrebbe potuto troppo opporsi alla rigida decisione di un vecchio terminale. Lei sembrava dormire, attaccata al respiratore, con due flebo, stesa sul lettino ed avvolta da bianche coperte sembrava l'ombra di ciò che nella realtà rimarrebbe di una principessa delle fiabe: i lunghi capelli bianchi le incorniciavano il volto magro ma elegante, le palpebre chiuse truccate con un leggero ombretto color carne scura avevano deboli tremiti, le mani con le unghie ancora curate erano incrociate sul petto che si alzava e si abbassava regolarmente sospinto da un tubo trasparente che finiva con una mascherina davanti la sua bocca chiusa.
Stesi sul letto c'erano i suoi genitori, lui la fissava con i suoi occhi azzurri ed un debole sorriso sopra la folta barba ancora bianca che scendeva fino al petto. Per sua espressa volontà non era stata tagliata, essendo quello un ospedale privato nessuno avrebbe potuto troppo opporsi alla rigida decisione di un vecchio terminale. Lei sembrava dormire, attaccata al respiratore, con due flebo, stesa sul lettino ed avvolta da bianche coperte sembrava l'ombra di ciò che nella realtà rimarrebbe di una principessa delle fiabe: i lunghi capelli bianchi le incorniciavano il volto magro ma elegante, le palpebre chiuse truccate con un leggero ombretto color carne scura avevano deboli tremiti, le mani con le unghie ancora curate erano incrociate sul petto che si alzava e si abbassava regolarmente sospinto da un tubo trasparente che finiva con una mascherina davanti la sua bocca chiusa.
Il vecchio fece forza sugli avambracci
e portò la schiena in maniera più eretta sullo schienale del
lettino inclinato, si tolse il respiratore e la figlia ebbe un
sussulto che lui si affrettò a fermare mostrando il palmo della mano
sinistra - Non preoccuparti, tesoro... - Parlò con voce saggia ma
roca, tarata dal tempo, le rughe ai bordi degli occhi si accentuarono
quando sorrise ed i suoi baffi confusi nella barba sembrarono
simpaticamente allargarsi - Non mi serve davvero, riesco a parlare ma
quando dormo i dottori dicono che ho difficoltà respiratorie. -
Cercò invano di rassicurarla.
Adia aveva posto entrambe le mani sulla
giacca di pelle marrone strette davanti al cuore - Hai visto? -
Continuò lui tentando di nascondere una fitta di dolore al torace -
Ogni mattina, quando mi alzo, la trucco e le do un bacio sulle
labbra. Dopo sessantasette anni ancora qui, hanno provato ad
impedirmi di alzarmi ma ho il diavolo in corpo, io, non saranno
quattro pavoni a fermarmi. - Si sporse sul lato destro del lettino e
portò il braccio tremante su quello della moglie, stringendo
delicatamente il suo pugno intorno all'esile avambraccio di lei -
Sorride quando la trucco, quando riesce a parlare dice che vuole
essere bella per me e per il ballo di domani. - Inspirò
profondamente guardandola quasi con rimpianto - Il suo oggi è sempre
il suo domani. - Carezzandola con la dolcezza di chi per la prima
volta abbraccia la sua amante.
Adia si costrinse con anima e corpo a
mantenere la dignità ed a non mostrarsi debole - Papà, io ho
portato i bambini.- Si morse il labbro inferiore trattenendo una
lacrima e le cadde l'occhio sull'elettroencefalogramma della madre,
debole ma ancora pulsante - Pensi sia il caso di... -
- Assolutamente si, voglio salutare i
miei nipoti. - Decretò quello con fermezza.
Lei annuì ed uscì dalla stanza senza
pronunciare un ulteriore parola. Si chiuse la porta alle spalle e si
sforzò di apparire tranquilla sotto lo sguardo interrogatorio del
giovane marito - Venite bambini, la nonna dorme per cui non parlate
ad alta voce, non svegliate il nonno e per qualsiasi cosa correte a
chiamarmi. - Disse loro chinandosi sulle ginocchia coperte da neri
pantaloni di seta e facendo ricadere i lunghi capelli sulle cosce.
- Foglia di primavera, io non so se...
- Jason aveva provato ad interromperla ma lei si rialzò
immediatamente e con fermezza - Nella vita ho imparato tante cose,
Jas, e tra queste che non voglio negare ai miei genitori di vedere i
loro nipoti come vorrei i nostri bambini non facessero con noi. -
Le mani alzate dell'uomo si scontrarono
per un istante con il cellulare che usciva dalla tasca del suo
cappotto facendolo rientrare nello scompartimento adeguato, cercando
di sottrarsi al confusionario ragionamento della moglie ed abbassando
la testa - Non sono nella posizione di mettere bocca. -
Lei abbassò lo sguardo e lo abbracciò
- Scusami tesoro... - L'altro l'aveva cinta con entrambe le braccia e
le aveva carezzato i capelli - Non c'è problema, foglia di
primavera. - La sciolse dalla stretta e le prese il mento tra il
pollice e l'indice - Vuoi entrare con loro o preferisci parlare con i
medici? -
Quella scosse la testa - Vorrei che io
e te andassimo a parlare con i medici. -
Lui annuì.
- Forza bambini. - Batté pacatamente
le mani la mamma - Andiamo a trovare i nonni e ricordate: niente
domande sul posto dove stanno altrimenti il nonno si arrabbia. -
La bionda figlioletta inclinò la testa
sprofondando nella soffice sciarpa di lana bianca - Perché? -
- Perché te lo dico io, tesoro. -
Severa.
- Va bene, mamma. - Parlò il pargolo
più piccolo incrociando le dita davanti le labbra per poi baciarle
in un sonoro schiocco - Pesciolini nella bocca. -
Lei abbracciò i bambini ed aprì la
porta - Salutate il nonno. - Sorrise, ed i due piccolini agitarono
silenziosamente le manine.
- Eccoli. - Esclamò stancamente il
nonno allargando di poco le braccia e cercando di nascondere nelle
maniche gli aghi delle flebo - I miei due cavalieri senza nome. - I
due quasi esplosero di gioia sentendosi chiamare così e guardarono
la mamma che gli fece cenno di andare. Adia rimase un breve istante a
guardare fermando quell'immagine nella sua memoria come una macchina
fotografica avrebbe catturato su nuova carta la stessa scena già
vissuta in tempi andati. Aveva chiuso nuovamente la porta alle sue
spalle ed era uscita dalla stanza a volto basso ma con le labbra
inarcate verso l'alto, mentre la mente era persa nei ricordi.
- Come stanno? - Chiese quello.
Lei non riuscì a rispondere, si morse
il labbro inferiore tinto di rosso - Andiamo a parlare con i medici.
-
- Venite, venite qui sul lettino di
nonno. - L'anziano uomo aveva chiamato i bambini battendo due
colpetti sul materassino coperto da pallide lenzuola azzurrine, i due
giovanotti si erano guardati e senza fiatare si erano mossi in
coordinazione prendendo uno una sedia e l'altro usufruendo della
stessa per salire ed aiutare l'altro a fare lo stesso. La piccola
Ambra si guardò intelligentemente intorno e con spiccata curiosità
inclinò la testa da una parte e poi dall'altra facendo battere un
fioco raggio di luce sul suo guancino candido - La nonna dorme? -
Domandò poi con disinvoltura ma protendendosi verso il nonno nel
tentativo di parlare con il tono di voce più basso possibile.
Il vecchio Ulrich arricciò
simpaticamente le labbra e spalancò le palpebre facendo saettare gli
occhi prima destra e poi a sinistra, aggrottò la fronte e come a
voler confidare un segreto annuì provocando deboli e coperte
risatine nei due nipoti. Rise un poco insieme a loro, tossì avendo
ben cura di coprirsi la bocca con la mano ossuta e sorrise - Come
state bambini? - Aveva domandato rilassando i muscoli del volto.
Augustin tirò su le spallucce per poi
riabbassarle - Bene, nonno, grazie. - Tirò distrattamente su con il
naso ed una piccola gocciolina di condensa gli si formò sulla punta
dello stesso, come la mamma gli aveva insegnato prese il fazzolettino
di stoffa azzurra dalla tasca del cappottino e si pulì - Te come
stai? -
Il nonno fece per rispondere ma la
piccola s'intromise prima - Perché sei qui? - aveva chiesto
domandando con sfacciata prontezza ed ovvia disobbedienza - Perché
ci sono tutti questi computer qui? e tutte queste cose strane? - Ci
pensò su un centesimo d'istante che passò come un granello di
sabbia cade in una clessidra di nuovo vetro lucido e sfavillante - E
perché non ci sono disegni qui? Perché ci sono questi tubi strani?
-
Ulrich aveva già cominciato a scuotere
la testa alla prima domanda ed all'ultima sembrava fosse uno di quei
giocattoli di plastica chiamati bobble head
- Perché? Perché? Perché? Perché? - Le fece il verso cercando di
imitarla ma fallendo nel vano tentativo, seppur riuscendo nuovamente
a far ridere i due - Perché invece non mi raccontate di voi? -
Chiese alzando le sopracciglia ed aprendo ancora più scenicamente
gli occhi.
I due
piccolini si guardarono e fecero spallucce - A scuola andiamo bene e
Augustine ha fatto un sacco di amicizie questo mese. - Spiegò
perspicacemente la piccola sapientina - La maestra ieri mi ha detto
che sono bravissima e alla verifica su storia ho preso distinto. - Si
atteggiò stringendo le labbra ed annuendo nell'enunciare all'anziano
nonno quanto lei fosse brava.
- Ci
racconti una storia? - Aveva poi improvvisato il giovane Augustine
facendo dondolare le gambe fuori dal letto mentre la sorellina aveva
cura di tenerlo in vita affinché non cadesse.
La
domanda era suonata così voluta e spontanea, detta più con gli
occhi desiderosi di apprendere che con le ancora semplici parole che
non riuscivano neanche marginalmente ad esprimere la voglia di sapere
del bambino. Il suo era un mondo fatto di colori e nuove sensazioni,
parole che si mischiavano a queste dandogli modo di esprimersi per
permettere agli altri di comprendere parte di quel concetto che
avvolgeva il piccolo in centinaia d'esperienze ogni giorno mai
provate. Libri bianchi che altro non aspettavano di essere scritti
con tinte quali sono l'igenua mente priva di preconcetti di un
bambino sapeva tracciare. L'altra annuì.
- Una
storia... - Rifletté ad alta voce il nonno. Si girò verso la moglie
e gli cadde l'occhio sul suo encefalogramma, guardò fuori dalla
finestra ed infine all'anello che lei portava al dito anulare: una
fede celtica acquistata in Irlanda durante gli anni sessanta . Portò
nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra - Forse è ora di una
vera, storia. - Sospirando profondamente ed irrigidendo i lineamenti
del volto. Si girò nuovamente verso i nipotini che lo guardavano
ansiosamente e desiderosi di ascoltare - Avvicinatevi - Disse lui
mostrandosi felice - Vi racconterò una storia che non avete mai
sentito. -
Loro
si avvicinarono strusciando sulle coperte, lui guardò verso
l'orologio e decise di farsi forza
-
Allora. - Cominciò - Tanti, ma veramente tanti, anni addietro in un
mondo che noi non conosciamo e non abbiamo mai conosciuto... -
-
Perché? - Chiese la giovane.
-
Ssst, non interrompere. - La fermò subito il fratellino poggiandole
una mano sulla gamba e mettendo il broncio. Lei alzò gli occhi al
cielo e sospirando - Continua, nonno, scusami per averti interrotto.
- Disse.
Lui
annuì - Grazie cavalier Ambra - Scompigliandole i capelli ed
evidenziando per lo sforzo i muscoli del braccio destro, ancora
parzialmente delineati da tanti anni vissuti a praticare le molte
arti apprese - Come vi stavo dicendo... - Riprese - In questo mondo
c'era un giovane mago, si chiamava Lasar, ed aveva preso carico di
una delle più gravose missioni avesse preteso l'imperatore di
Antora, una delle più grandi terre che delineavano i confini del
continente più grande che quel mondo avesse mai visto; in lingua
antica si chiamava Aluan ovvero: ai confini del mare. -
- Che
vogliono dire: deligneare e continente, nonno? - Domandò Austine,
curioso. La piccola Ambra che leggeva già da molto tempo sospirò
sonoramente e si girò verso il fratello - Delineare vuol dire che fa
da confine, mentre il continente è un grande pezzo di terra che
rinchiude altri pezzi di terra. - Ci pensò su - Un pezzo di terra
molto grande. - Spiegò. Il fratellino ci rifletté un attimo su e
facendo il paragone con il confine che divideva il suo spazio da
quello della sorellina, nella cameretta, ed un grande pezzo di terra
su cui ogni tanto si sedeva per guardare le formiche, fece cenno di
aver capito.
- Un
grave male affliggeva in quei tempi l'imperatore. - Ricominciò a
raccontare il nonno respirando profondamente e buttando ogni tanto un
occhio sulla moglie - Un oggetto molto importante, sacro, era stato
sottratto dalle sue mani durante una delle ultime battaglie contro il
male caotico e per via delle ferite riportate in guerra, come anche
per via della sua posizione di imperatore, non poteva partire lui
stesso per recuperarla. Ora, accadde che questo imperatore di nome
Sergem convocò a corte i più grandi maghi di ogni disciplina, ogni
ordine magico accorse alla chiamata e tra questi v'era anche Lasar,
esponente massimo nonostante la sua giovane età dell'arte della
manipolazione della materia. - Si accorse di aver detto qualche
parola troppo complessa e strabuzzando un istante gli occhi si
affrettò a correggersi - Questo vuol dire che questo mago poteva
modificare le cose che possiamo vedere, trasformandole in altre cose.
Caotico vuol dire confusionario. -
I due
piccolini ebbero un sussulto - Anche le montagne? - Domandò il
giovane Augustine estasiato dall'idea. Il veccho Ulrich si lasciò
andare ad una sommessa risata - Non era così potente, nessuno lo era
nell'impero se non pochi malvagi maghi, più somiglianti a mostri che
persone, che si vendevano ai malvagi trovandosi trasformati in
orribili creature che tuttavia potevano disporre di un potere più
forte. - Spiegò, poi tirò su con il naso e strinse le palpebre -
Disporre vuol dire che potevano avere. - Guardando il piccolo che
annuì soddisfatto.
- Ora,
non ci fu nessuna gara e nessun duello. L'imperatore cercava un
volontario che sarebbe dovuto partire da solo per non essere trovato
dal nemico; l'imperatore non avrebbe mai chiesto a nessuno di recarsi
in quel malvagio posto che viene chiamato Hitlar Gror e
che potrei descrivervi solo come una nera valle con una cittadina
arroccata su una ripida montagna solitaria... -
-
Hanno detto di aspettare ancora qualche istante. - Aveva riferito
Jason uscendo dall'infermeria del reparto dopo aver scambiato due
parole con il responsabile dello stesso - Stanno terminando di
svolgere degli affari interni. - Le aveva spiegato quando lei aveva
iniziato a far battere nervosamente i tacchi sul pavimento facendo
ben attenzione a non esercitare tanta forza da creare una eco - Ma
come mai questo attacco? - Chiese poi, come ricordandosi solo in
quell'istante dei suoceri.
Lei
scosse la testa - Non so. Pochi mesi fa stavano bene, papà ha
pubblicato il suo ultimo libro sulla spiritualità e la scienza, poi
sono stata chiamata e da Londra siamo dovuti correre qui. -
L'altro
aveva abbassato la testa ed inspirato profondamente - Era ancora un
sostenitore di quella strana teoria? -
- Si -
La conferma della bionda uscì secca e definitiva - Il sei giugno
doveva parlare ad una conferenza per spiegare come la teoria
scientifica del multiverso potesse conciliarsi con la reincarnazione
che, volgarmente, definiva pagana e come lo stesso fatto delle
reminiscenze potesse fungere da strada per gli studi da seguire. -
L'uomo
aveva lisciato entrambi i baffi con i palmi delle mani - Uno strano
campo di studi, quello. -
Lei
fece spallucce - Lui ci credeva e ci crede tuttora, anche mia madre
lo ha sempre seguito e supportato sostenendo le sue teorie a
discapito delle critiche. - Si girò nervosamente dando le spalle al
marito, non per scortesia quanto per la necessita di doversi muovere
per tentare in qualche modo di ingannare l'attesa con il fisico oltre
che con la mente - Da qualche anno a questa parte so che aveva
ricominciato a studiare le rune svedesi e che aveva preso un paio di
poemi medievali per cercare quelli che chiamava: indizi persi nelle
pagine. - Si girò verso la finestra e socchiuse un occhio per lo
sbalzo di tensione sulla lampadina sopra di lei che per un istante la
abbagliò - Aveva addirittura trovato qualcuno disposto ad investire
dei soldi, circa due anni fa, e questa sarebbe stata l'ultima cosa
che si sarebbe mai aspettato. Ha intensificato i suoi studi ma poi
c'è stato il cancro, la sua volontà di non volersi far ricoverare,
di non voler essere di peso alla famiglia e di voler terminare i suoi
studi. -
-
Capisco. - Disse l'altro semplicemente.
- è
sempre stato un padre affettuoso, sempre, quel poco che ci ha fatto
mancare ce lo ha ridato con il tempo. - Si intenerì presa dalla foga
e dai ricordi come dalla paura e dal timore - Ma l'amore, quello che
più è importante in una famiglia, non è mai mancato. - Una sottile
e delicata stilla solcò la gota sinistra della donna scendendo fino
al meno per poi ricadere lentamente in terra infrangendosi in tanti
piccoli frammenti di fluido vetro. Dimore di eventi ed infiniti mondi
creati con il passare degli anni, in quei piccoli momenti di cui
spesso è difficile ricordare se non in sottili sfere di vetro,
chiuse fuori da quel mondo che tanto chiamiamo: realtà.
Fine
Parte Prima.
Questi giorni pubblicherò la parte due che andrà a concludere questo breve racconto.
A voi la parola, alla prossima storia.
Sean Foster
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