martedì 19 febbraio 2013

Il tessitore dal cappello a tesa larga P.2

Inaspettatamente lo straniero si esibì in un formale inchino stringendo il cappello tra il pollice e l'indice delle mani coperte da guanti neri come la pece - Tu devi essere Terrick. - Aveva parlato improvvisamente con voce bassa ed il tono enigmatico degno del protagonista di un romanzo d'avventura. Il ragazzo annuì molto lentamente tirando le coperte verso il mento e cercando di contenere in un vaso di vetro i pensieri che si accatastavano l'uno sopra l'altro, volse lo sguardo verso sinistra e verso destra come a voler cercare qualche sorta di aiuto che probabilmente sapeva non sarebbe arrivato.
- Or bene... - Disse infine quello tirando indietro le spalle e facendole scrocchiare con sonora disinvoltura
 - Ti dispiace se mi siedo? - Si diresse verso il covo segreto del giovane prendendo una piccola sedia in inespressiva plastica rossa accanto ai libri.
Ora che quella bizzarra persona era vicino la candela i lineamenti del volto divennero abbastanza evidenti da permettere d'essere interpretati in una sorta di faccia: gli occhi erano piccoli e quasi sempre socchiusi sopra un naso comune che terminava sopra i baffi arricciati; i lineamenti del volto erano duri ma distinti e quella che sembrava un cicatrice solcava lo zigomo destro pronunciato come una piccola collina in una verde pianura cosparsa da sottilissima ricrescita di barba.
- Mh... - Mugugnò quello senza preoccuparsi di tenere la voce bassa - Speravo avessi buon gusto nell'arredamento - Guardando la sedia satinata e scuotendo i baffi sotto il naso mentre passava distrattamente l'indice sulla superficie ruvida del seggio - Evidentemente mi sbagliavo... - deluso.
Il ragazzo socchiuse gli occhi e tirò indietro la testa, stranito dall'affermazione dell'intruso - Quella sedia l'hanno scelta i miei genitori.- Si era giustificato con uno sprazzo di irritazione nel tono.
- Oh... - La reazione di quello fu disarmante quanto l'azione che seguì, si sedette infatti sulla sedia con poca delicatezza ed incrociò scompostamente le gambe una sopra l'altra facendo cadere sporche briciole di fango sul pavimento - In tal caso ti chiedo scusa... -
Terrick si fece coraggio e tirandosi indietro sul letto, senza tuttavia scoprirsi di neanche un millimetro, alzò il mento e repentinamente estrasse la piccola torcia da sotto il materasso accendendola e puntando il fascio di chiara luce volumetrica contro l'invasore, che infastidito si riparò gli occhi con entrambi i palmi delle mani
- Caro signore mio... - Parlò il giovane avendo cura di scandire ogni parola con il coraggio dettato dall'arroganza della gioventù e dal fascio abbagliante - Spero lei sappia che questa è quella che io chiamo un'effrazione e che è punibile dalla legge in quanto reato perseguibile con... -
- Bla, bla,bla... - Lo aveva interrotto quello mimando con la mano sinistra una nera bocca che inesorabile continua a blaterare - Conosco la vostra legge. - Schioccò le dita in un muto rumore che inaspettatamente rimbombò tra le mura della stanza come una eco soffocando la fonte della luce che in meno di un secondo si spense, lasciando tuttavia la candela accesa - E non mi riguarda - Finì.
Il ragazzo spalancò gli occhi e tutta la sicurezza che aveva accumulato per parlare di fronte a quell'uomo svanì in un istante come la polvere esposta all'impetuoso vento autunnale.
Quello tirò su con il naso, inspirò profondamente e premendo le mani contro le cosce coperte da pantaloni in pelle si tirò su ergendosi in tutta la sua altezza, che superava il ragazzo di almeno tre piedi - Io mi chiamo Hector Von Lichtenstein - spolverandosi la mantella e sistemando la bandoliera sul prominente petto facendo muovere qualcosa dietro la sopravveste che formò una sorta di lunga punta adombrata dietro di lui; era coperto da quella sembrava una camicia bianca e solo ora poté vedere che portava stivali che lo coprivano fin'oltre il ginocchio terminando in un lungo risvolto decorato in probabili fili d'argento
- E sono un tessitore... - Finì di presentarsi. La mancanza degli occhiali non aiutava di certo il ragazzo a distinguere i particolari della figura ma nel complesso non gli sembrava affatto un sarto - Eh? - Fu tutto quello che la mente di Terrick riuscì ad elaborare nel tornado delle troppe parole che in quel momento si accatastavano l'una sull'altra, come la spuma del mare in balia delle alte onde che creano una confusa risacca pronta a riemergere in differente forma.
Quello estrasse qualcosa dalla tasca e portò la mano alla bocca, aggrottando la fronte nel guardare il bambino di undici anni ed iniziando a masticare a bocca chiusa con aria poco convinta - Tu sei Terrick Johnson, vero? -
- Perché? - Immediato quanto allarmato dal fatto che lo sconosciuto sapesse il suo nome.
- Oh, ragazzo mio... - Sospirò l'indesiderato ospite scuotendo la testa e lasciando vagamente svolazzare i lunghi capelli - Non chiederti mai perché, ma chiediti: perché no? - Con apprensione.
Il biondo non sapeva cosa dire ne tanto meno su cosa riflettere, era talmente confuso che se in quel momento la zia fosse entrata in stanza probabilmente l'avrebbe scambiata per un allucinazione visiva - Che... - Schioccò la lingua sul palato - Cosa... - elaborando quella che sarebbe potuta essere una domanda - Sei tedesco? - Ci fu un lunghissimo, eterno, istante di assordante silenzio.
L'uomo si avvicinò al letto ed il ragazzo si tirò ancora più indietro sfregando i piedi contro le lenzuola azzurro cielo e cercando freneticamente di riaccendere la torcia, ma non gridò
- Di tante domande che potevi farmi... - Lo straniero si chinò quindi sulle ginocchia proiettando la lunga ombra contro il muro coperto da carta da parati verde bosco, come se chinandosi si fosse allo stesso tempo innalzato in una bivalenza incomprensibilmente forte - Hai scelto la seconda più razionale. - Annuendo lentamente e mordendo il pallido labbro inferiori con i denti bianchi creando un sottile solco nella carne liscia
 - Forse è questo che dovresti chiederti, perché le domande sono sempre razionali? -
- Perché servono per spiegare le cose? - Aveva improvvisato l'altro guardando verso il vetro trasparente della finestra accostata ed ipotizzando in una manciata di secondi qualche dozzina di vie di fuga.
- Ed allora perché non mi hai chiesto il motivo della mia presenza qui? -
Terrick lo guardò negli occhi, scuri oceani immobili mostranti le profondità più remote dei grandi abissi, considerando che effettivamente quella domanda non gli era neanche lontanamente balenata in testa
 - Perché se... -

- Qualche settimana fa hai fortemente pensato di vivere un'avventura, o sbaglio? - Sorridendo con scaltrezza sotto i baffi che intanto arricciava enigmaticamente con le mani guantate in un impercettibile sfrigolio.
Il biondo abbassò pensierosamente gli occhi e socchiuse le palpebre cercando di ricordare - Si... - rammentò quasi come un distante sogno - E tu... - Effettivamente la settimana precedente aveva appena finito di leggere l'ennesimo romanzo fantastico ed in un momento di grigia solitudine, guardando fuori dalla finestra lo smog che si accalcava contro le strutture come il fango ai margini di una strada, aveva chiuso gli occhi ed immaginato di essere da un'altra parte arrivando quasi a sentire il tocco del vento ed il profumo di terra umida.
- I tuoi pensieri erano abbastanza confusi e non ti nego che ci è voluto un po' per interpretarli... - L'uomo continuando a sorridere con contagiosa sicurezza.
- E tu... -
- Ed io sono qui per far del tuo desiderio una forma concreta d'esperienza. - Si alzò ed inspirando profondamente sembrò gonfiare il petto - Mi ripresento - stavolta tolse il cappello a tesa larga ed inchinandosi alcune ciocche dei setosi capelli corvini gli caddero davanti al volto pallido - Sono  Hector Von Lichtenstein, un tessitore... - S'interruppe per rimettersi il cappello e guardarlo socchiudendo l'occhio sinistro come a voler anticipare qualcosa di già noto - Tedesco della fine del sedicesimo secolo... -
Il ragazzo spalancò la bocca sconvolto - Com'è possibile? - Cominciò a gesticolare ergendo la schiena ma rimanendo seduto - Non può essere vero, avresti più di duecento anni. -  Aggrottò la fronte - Devi essere pazzo... - Riflettendo ad alta voce.
Il tessitore si massaggiò stancamente le tempie con entrambi le mani e sbuffò - Riuscirei a fare questo se non fossi chi dico di essere? - Batté le mani e riaprendole si creò nel mezzo una sorta di piccola circonferenza evanescente e luminosamente abbagliante che raffigurava un'isola in movimento, il cielo era azzurro splendente ed un veliero dalle bianche vele stava salpando da un porto in legno davanti ad una città fatta interamente di bianco marmo luccicante.
- Come hai fatto!? - Sbottò il ragazzo quasi urlando e mettendosi subito le mani davanti la bocca rimproverandosi per aver alzato troppo il tono di voce.
- Non preoccuparti per tua zia... - Continuò l'altro chiudendo le mani e lasciando sparire il portale avendo intuito la questione - Non si sveglierà, sta dormendo profondamente sognando di vincere il mestolo d'oro che tanto ambisce al concorso di cucina. -
- E tu come lo sai? -
- Ce l'ho portata io - Ammiccò con fare complice.

Hector tirò quindi indietro le spalle e girò la testa da entrambi lati inclinandola all'indietro facendo scrocchiare il collo - Dunque... - Si avvicinò  al comodino dove la fiamma della candela danzava mossa dal lieve vento che entrava dalla finestra accostata e prese gli occhiali da vista del ragazzo - Metti questi, ti serviranno... -
porgendoglieli.
Terrick indossò gli occhiali da vista ma nonostante ora fosse tutto più a fuoco continuava ad avere difficoltà nel distinguere pienamente la figura, adesso che ci faceva caso sembrava in un certo tal modo immateriale e sbiadita... come se disegnata sul vetro con colori opachi e spenti od attraverso il fumo.
Il tessitore prese un libro dalla pila che stava sotto il comò del giovane, aveva la copertina rigida in cartone rosso cui era stata tolta la sovraccoperta e le pagine erano state rilegate in inespressiva brossura 

- Squallido... - Aveva notato con velato disdegno, il tedesco - Speriamo che il contenuto non sia come la copertina, vero? - Girandosi verso il giovane che strinse gli occhi ed alzandosi dal letto si diresse verso lo sfregiato con passo pesante e determinato facendo rimbombare, seppur in maniera molto attutita, il suono dei suoi passi nella stanza come il battito del cuore nel petto - è un gran bel libro. - Fece per prenderlo ma Von Lichtenstein scansò la mano all'ultimo allargando il suo sorriso - Allora faremo bene ad usarlo. - Lo aprì di scatto arrivando esattamente a metà del volume facendo battere la copertina contro la mano libera
- Preparati... -
- Per cosa? - Aveva domandato il ragazzino allibito e maledettamente eccitato allo stesso tempo.
- Come per cosa? - Lo guardò perplesso e stupito allo stesso tempo il suo compagno - Per partire, no? -
- Entriamo in quel libro? -
- Assolutamente no...  sono un tessitore, non ho bisogno di una storia già scritta ma di uno strumento che contenga abbastanza fantasia da permetterci di passare il portale. -
- Quale portale? -
- Lo vedrai... - Mettendogli una mano sulla piccola spalla - Preparati a partire, ragazzo. -
- Ma... - Si guardò il pigiama con le bacchette magiche ed allargò le braccia - Non sono vestito e... - alzò un piede guardando la rosea pianta nuda - Non ho neanche le scarpe. -
L'altro rise di gusto - Questo non è un problema. - Mise la mano sotto il cappotto e con un sibilo metallico tirò fuori un lungo e spesso ago alto quasi quanto lui da dentro il cappotto; l'elsa simile ad una spada che conosceva con il nome di rapiero, completamente argentata formata da un'intricata ed elegantissima rete di nodi che luccicavano alla luce della candela sognante come il letto di un fiume sotto il sole raggiante, rendeva quell'ago degno di un'epica saga di fantasia. Sulla larga fessura per il filo c'era una fascia di cuoio arrotolata che fungeva da impugnatura e lì era stretto il determinato pugno nero del suo nuovo amico - Dove stiamo andando non c'è bisogno di prepararsi, sarai tu a decidere come sarai vestito quando saremo arrivati... -
Alzò la spada ago verso il soffitto e lanciò il libro in alto
- Aspett... - Il cuore del ragazzo fremeva per l'eccitazione, non si era mai sentito così estasiato e la paura non raggiungeva neanche marginalmente l'ansia di provare una nuova avventura.
Il libro toccò l'apice della curvatura e con un fendente il tessitore lo attraversò come fosse stato di semplice burro, ci fu un lampo di luce abbagliante, il ragazzo si riparò con le mani e si sentì attratto verso un qualcosa di enormemente grande che lo sbalordì a tal punto da farlo urlare; un forte frastuono aveva pervaso i suoi timpani come quello di un mare in tempesta, i gabbiani stridevano quasi muti e si sentiva come fosse stato dentro ad un'onda. Lui stesso era un'onda. Aveva freddo e caldo allo stesso tempo, sentiva in bocca il sapore del sale. La luce si fece più forte ed ebbe la sensazione di volare in un mondo che da sempre aspettava di vedere, tra le risate di trionfo del tessitore.
Il libro cadde sul pavimento e si richiuse in un tonfo sordo, dalla finestrella accostata entrava un flebile sospiro d'aria che muoveva la stria di fumo della candela ora spenta. La camera era buia e silenziosa, il letto disfatto ed il gattino... non era più lì.
Una stella nuova brillava alta nel cielo ed in lontananza si poteva distinguere quello che sembrava il fruscio delle lontane foglie d'autunno portate dai venti dell'est.


sabato 16 febbraio 2013

- Il tessitore dal cappello a tesa larga P.1 -



La neve cadeva leggera e sottile depositandosi  con leggerezza sul prato d'erba rada, come un sottile drappo di seta si adagerebbe con velata delicatezza su di un chiaro divano di piume.
La morbida e tiepida luce della fiamma danzante sulla bianca candela in cera si rifletteva sulle fredde vetrate della finestra in tanti puntini luminosi contenenti, all'interno, luminose galassie di luce. L'escursione termica tra la stanza ed il giardino esterno si materializzava sotto forma di vapore, appannando il vetro sottile e rendendo il paesaggio esterno un misterioso ritratto in toni di fumo interpretabile dalla fantasia dell'ignaro spettatore che, come un accordo di pianoforte evoca immagini dalle più remote realtà, immagina di viaggiare per oscure foreste celanti passaggi per i più lunghi ed ardenti sogni.
Vari sentieri offuscati dalla nebbia delle utopie s'intrecciavano come fili di seta annodati tra loro nella mente del giovane Terick, i suoi occhi azzurri fissavano l'esterno come incantati facendo viaggiare la fantasia verso i più distanti lidi. Sospirò e si strinse nel piumone sprofondando il viso contro il cuscino che profumava di lavanda per poi sbadigliare e tirarsi indietro i corti capelli biondi. Guardò la sua tonda sveglia in metallo rosso, segnava le undici e cinquantasette, si girò verso Dernem, il nuovo arrivato, che dormiva profondamente sbattendo ripetutamente le palpebre assorto nei suoi sogni di corse.
Tirò fuori un po d'aria per l'assenza di sonno e stringendo tra le braccia  'Draghi ed antiche storie' , il suo nuovo libro di racconti portatogli dal papà di ritorno da una città dell'Europa, si alzò dal letto per spegnere la cornice digitale che ritraeva un ritratto montano e poi dirigersi verso la cesta del suo gatto - Buonanotte, Dermen - Disse facendogli una carezza sulla testolina nera, gentilezza che il gattino ricambiò con qualche fusa per poi mettersi a pancia all'aria e continuare a dormire. Si affacciò alla finestra della sua cameretta, aprì la finestra e girando la fredda chiave di metallo nella sottile inferriata, avendo cura di non fare rumore, si sporse di quel tanto che bastava per sentire il lieve respiro del vento sfiorargli le guance. Trentasette piani sotto di lui scorrevano veloci le macchine che viaggiavano inesorabili attraverso New York lasciando rosse e bianche scie fluorescenti nel buio, come lunghe fiammate dirette da un preciso intento. 
Davanti a lui, la luce della stanza da letto di Darleen era spenta e la vetrata esterna rifletteva solamente altre lastre di inespressivo cemento a copertura delle tante strutture che in quella via si accalcavano le une sulle altre, in un atono paesaggio di tanti palazzi che gareggiavano in altezza come molte stalagmiti sbiadite.
Inspirò profondamente l'aria esterna immaginando un folto bosco e trattenendo il respiro rientrò nella sua cameretta, richiuse velocemente la finestra ed espirò stancamente alzando gli occhi al cielo.
Scosse la testa cercando invano di sopprimere uno sbadiglio che subito andò incontrare la sua mano destra.
Mosse qualche passo sul parquet di chiaro noce fino ad arrivare al suo comodino in legno dove la candela ancora brillava al buio, la fiamma riflessa dai sottili occhiali dalla montatura tonda ed ottonata ricordava una lanterna ad olio delle storie di Stevenson, soffiò sulla candela facendola vibrare finché il fuoco non si estinse in una sottile stria di fumo. Poggiò il libro che stringeva tra le braccia nel suo piccolo angolino d'avventura, sotto al comodino, dove già una pila di altri sedici libri gli tenevano compagnia durante le notti insonni.
Sospirò nuovamente, si stirò addosso il pigiama bianco con su disegnati corvi e bacchette magiche, si toccò la fronte per verificare se avesse l'alterazione ed infine si mise nuovamente sotto le coperte.
Quando i genitori erano fuori casa per lavoro e la zia veniva ad accudirlo da Washington lui si permetteva di sostituire una candela alla lampada da notte, il parente dormiva talmente profondamente che il suo russare scuoteva le fondamenta della terra e quindi non si sarebbe svegliato neanche in caso di disastro atomico.
Sentì un brivido percorrergli il lato destro del collo, ci mise la mano serrando le dita come a copertura ed arricciando il naso tirò il piumone ancora più su.
Dopo circa dieci minuti sentì che stava per cadere tra le braccia del sonno, reduce di oltre cento pagine di romanzo fantastico lette,  quando un rumore metallico lo destò dal suo mondo incantato che lentamente stava apparendo al posto del buio. Girò istantaneamente la testa verso la finestra e vide che l'inferriata era aperta.
Si rigirò preoccupato e con il fiato corto sporgendo la mano dal letto cercò la torcia dinamo sotto al materasso, sentì il cuore mancargli di un battito e si paralizzò completamente spiazzato fissando gli occhi su di una figura, con un grande cappello a tesa larga sulla testa, avvolto da una pesante mantella con una copertura sulle spalle sotto i lunghi capelli corvini. Davanti sembrava avere una di quelle bandoliere che indossavano i pirati ed appena celata dal grosso cappotto c'era una cosa che sporgeva, sembrava colorata di bronzo...
una pistola del XVIII secolo che il giovane Terrick conosceva con il nome di Flinlock.
L'uomo sembrò sorridere sotto i lunghi baffi corvini, arricciati alle punte, che quasi coprivano il corto pizzetto.

venerdì 15 febbraio 2013

Attesa

Avrei già voluto pubblicare una nuova storia ma mi trovo in una particolare fase del mio "lavoro" di scrittore che mi vede in contatto con una casa editrice ed altre singolari questioni dello stesso tipo.
Farò il possibile per concedere a questo blog l'esclusiva su miei ulteriori racconti, aggiornandolo e continuando a stendere in digitale le parole che nella mia mente formano una narrazione, ma penso che per almeno questa settimana non riuscirò a postare nulla di realmente concreto.
In compenso sono ben lieto di pensare che, se tutto andrà come previsto, forse riuscirò a vedere una delle mie storie diffusa da chi è più competente di me in temi di mercato.
Nonostante tutto non è forse a questo che servono le storie?
Essere ascoltate, lette e poi diffuse da chi ha provato qualcosa leggendo quelle righe che qualcun'altro ha immaginato, scegliendo di condividerle con chi vuol viverle.

A presto.
Sean Foster.

giovedì 7 febbraio 2013

Eterno 2

Eterno
( parte 2 di 2 )

- Lasar fu l'unico tra i convocati a farsi avanti e non lo fece a cuor leggero, sapeva che il posto dove si stava recando avrebbe potuto significare gloria e potere come purtroppo morte e solitudine. - Ulrich inspirò profondamente carezzandosi distrattamente il dito indice della mano sinistra con il pollice dell'altra, la luce della stanza lo illuminava con la debolezza di un tramonto coperto da scuri nembi all'orizzonte rendendolo un uomo all'apparenza nostalgico quanto sicuro di sé.
I bambini ascoltavano silenziosi senza battere ciglio con l'ansia che traspariva dai loro grandi occhi, l'immaginazione che aveva iniziato già dalla prima parola a viaggiare nel tempo e nei luoghi cercando qualcosa che potesse sembrargli adatto per vivere in prima persona la novella che il nonno stava narrando - Non lo fece per spavalderia... - Abbassò lo sguardo sul piccolo Augustine - Che vuol dire ansioso di mostrarsi coraggioso anche quando il coraggio spesso non è richiesto quanto la ragione. - Il bambino rifletté un attimo su quelle parole mettendole in riga, riorganizzandole in modo che potessero esprimergli un concetto che lui conoscesse per poi guardare la sorellina ed annuire - Quante parole nuove. - Sorrise felice.
- Ora sei tu ad interrompere. - Lo aveva quindi rimproverato l'altra muovendo su e giù l'indice.
- Lo fece perché era stato al fianco dell'imperatore nella battaglia di Turtonvalle, una sorta di terribile combattimento tra le forze del male e quelle del bene... - Abbassò il profondo sguardo a sinistra - Anche se forse sarebbe più corretto esprimersi parlando di ordine e caos. -
- Cosa cambia, nonno? - Chiesero quasi all unisono i due pargoli.
Ulrich sbuffò stancamente incolpandosi di non riuscire a trovar termini semplici da adoperare con i bambini e si grattò il mento con le unghie ben curate - Dunque. - Iniziò - L'ordine è come il bene, ma è inteso come ordinato... - Si concesse un istante per riflettere - Come le vostre camerette, quando sono disordinate è male, quando sono ordinate invece è bene. Così è ordine e caos, il caos è male in quanto è difficile trovare un punto di riferimento mentre l'ordine è bene perché c'è un punto focale... - Si interruppe mordendosi la lingua - Punto focale vuol dire: punto di riferimento. -
- Io l'avevo capito. - Annuì la bambina mostrando un sapiente sorrisetto.
- Sta zitta. - L'aveva rimbrottato l'altro sentendosi stupido.
- Buoni bambini. - Li aveva tranquillizzati l'anziano mettendo entrambe le mani sulle teste dei nipotini e scompigliandogli i capelli - Ora che avete capito, lasciatemi spiegare. -
I due fecero si con la testa e seppur scambiandosi un'occhiata in cagnesco si posero in posizione d'ascolto.
- Lasar aveva combattuto al fianco dell'imperatore e l'aveva protetto custodendo lui stesso il sacro oggetto, che chiameremo reliquia, attirando così l'attenzione del nemico sulla sua persona. Per sfortuna o per fato, quindi destino, accadde che la moglie del regnante perì poco dopo la battaglia durante l'assedio alla roccaforte principale dell'impero. - Trasse un profondo respiro e guardò nuovamente verso la moglie, i pochi raggi di sole che le toccavano le gote la impreziosivano sempre di più schiarendole la carnagione già nivea per quanto stressata dal passare del tempo - Il nemico prese la regina e l'imperatore soffrì parecchio per quello che le venne fatto, davanti la fortezza. -
- Cosa le fecero? - Chiese istintivamente Augustine allo sbadato nonno che rinsavendo scosse la testa - Niente che un bambino dovrebbe sapere. -
- Ed una bambina? - L'altra.
- Neanche. - Caustico.
Lo sguardo di Ulrich era caduto pesante sui nipoti e notando che non c'erano ulteriori repliche in atto decise di andare avanti con la narrazione - Il compito di proteggere la regina durante l'assedio spettava a Lasar che, tuttavia, per poter difendere la reliquia era mancato al suo impegno. -
I bimbi si consultarono per poco meno di un minuto e dopo essersi scambiati quelle poche parole Augustine annuì soddisfatto mentre Ambra gli sorrise accarezzandogli i capelli.
- Ora. Accadde che il mago, mortificato per l'accaduto, si offrì lui stesso di partire alla ricerca del manufatto che gli era stato rubato durante una delle scene dove la regina era stata coinvolta sulla collina di fronte alla rocca. L'uomo aveva commesso due sbagli e non poteva in alcuna maniera perdonarsi. Nonostante tutto, l'imperatore non gli aveva attribuito nessuna colpa in quanto consapevole di aver affidato lui stesso a Lasar il compito di difendere la reliquia costringendolo a prestare meno attenzione alla regina che quando venne presa lasciò lo stregone senza fiato permettendo al Caos di sottrarre la reliquia. -

Il primario uscì dall'infermeria asciugandosi con un fazzolettino di carta il sudore dalla fronte imperlata dove una lunga frangetta castana cadeva disordinata quasi coprendo i piccoli occhi color nocciola - Voi dovete essere il signore e la signora Poul - Constatò togliendosi gli occhiali dalla sottile montatura tonda ed ottonata - Mi spiace conoscervi in queste circostanze. - Aveva ammesso guardando la coppia con rammarico ed abbassando ancora di più il tono di voce già baritono. Il panno di pelle si mosse rapidamente sulle lenti tra il pollice e l'indice del medico per poi tornare nella tasca del camice - Volete sedervi? -
Adia scosse la testa e si morse il labbro inferiore facendo saettare gli occhi sul marito che guardava severamente il primario a braccia conserte, espirò ed aprì le mani mostrando i palmi al terreno - No, grazie. - Aveva detto sistemandosi indietro i lunghi capelli biondi - vorremmo solo essere messi al corrente della situazione. - Guardando il compagno che si mostrò d'accordo con un cenno della testa. Il medico passò la lingua sui denti ed annuì come per chiarire a se stesso il concetto - Molto bene, allora mi esporrò senza mezzi termini. - Prese aria e dalla tasca sinistra del camice bianco, macchiato qui e li da quello che dall'odore poteva sembrare disinfettante, estrasse un blocco note formato A6 diviso in tanti quadratini - Il signore e la signora Ellis sono stati ricoverati in questo ospedale la scorsa notte - Lesse per poi alzare lo sguardo verso i due - Il ventinove ottobre. -
- Si. - Aveva confermato Jason.
Il castano passò nuovamente la lingua sull'arcata dentale superiore e riprese ad annuire, tirò su con il naso e ci passò il dorso della mano erigendo la schiena mentre le palpebre si chiudevano e si riaprivano con la velocità di chi intensamente riflette su di un'importante questione - Bene. - Chiuse il blocchetto - Mi duole tantissimo comunicarvi che abbiamo dignosticato ai vostri genitori un cancro terminale e che pertanto... - Inspirò profondamente - è solo questione di tempo . -
La donna abbracciò drasticamente il marito avendo tuttavia la forza di non piangere davanti al primario - Mi dispiace. - Si era scusato quello come se fosse stata colpa sua, dare notizie del genere non era mai stato piacevole e per questo motivo si sentiva in colpa ogni qual volta ne dava una - Se fossero venuti prima, forse, avremmo potuto fare qualcosa. - Ragionò - Parliamo di una forma disseminata che se presa per tempo forse avremmo potuto trattare con un'immunoterapia o più avanti con una chemio - Sospirò - Ma ad ora non c'è nulla che possiamo fare se non tenerli sotto sorveglianza, insieme, con ossigeno e nutrimento. -
- Io lo avevo detto... - Stava singhiozzando la bionda stretta nell'abbraccio del marito - L'avevo detto... -
L'uomo si sentiva molto dispiaciuto - Mi disp... -
- la prego. - L'aveva interrotto Jason mostrando il palmo della mano destra. Il medico annuì e mordendosi la lingua mosse qualche passo indietro - Se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi. - Concluse rientrando nella stanza a testa bassa.
La giovane Adia stringeva forte il marito - L'avevo detto... -
- Mi dispiace, cara... - Erano le uniche parole che l'uomo era riuscito a pronunciare - Mi dispiace... -

- In quel dì di novembre il mago era dunque partito, da solo e tormentato dal rimorso, viaggiando in direzione della valle nera. - Aveva continuato Ulrich che nel frattempo si era adagiato un poco di più sul materasso del letto comprendosi con le lenzuola per via di un fastidioso brivido di freddo alla schiena - Ora. Accadde che con il passare del tempo il mago attraversò foreste, guadò fiumi... - I due piccoli si scambiarono qualche parola - scalò montagne e sorpassò colline, la sua destinazione era ancora molto lontana quando inaspettatamente trovò un compagno di viaggio. - Tossì distrattamente avendo cura di coprirsi con la mano sopprimendo un lancinante dolore allo sterno
- Una giovane donna di un'altra regione del regno, una spadaccina armata di una lunga e sottile spada acuta come la sua mente e distinta come i suoi lineamenti. - I due guardarono il nonno con aria interrogativa - Vuol dire che era molto bella. - Aveva spiegato quello sorridendo. I nipotini ricambiarono l'espressione e ripresero a far ciondolare allegramente le gambe giù dal letto.
- I due inizialmente erano diffidenti l'uno dell'altra, ma dopo aver compreso che viaggiavano nella stessa direzione decisero di unire le forze quantomeno nel viaggio, se non nello scopo. Lei doveva recarsi in una cittadina poco prima della valle per recuperare degli ingredienti che avrebbero permesso al suo governatore la creazione di una nuova arma di difesa da proporre direttamente all'imperatore. - Tossì nuovamente ed iniziò a sentire la stanchezza calare su di lui come un enorme masso levigato - Per farla breve: viaggiarono e viaggiariono. Le avversità costringevano i due a lottare insieme, Lasar modificava la materia mentre Leania, la spadaccina, procurava il tempo che gli serviva per adoperare i suoi incantesimi, se così vogliamo chiamarli. Il tempo passava, il viaggio si faceva sempre più lungo, le impervie costringevano i due a stare sempre più vicini, la solitudine a confidarsi, le paure a dosare la fiducia ed in seguito a fidarsi l'uno dell'altra. Passarono prima i mesi, poi gli anni. - Inspirò profondamente e scosse la testa riflettendo sul suo racconto - Vedete, bambini, non tutto è come nei libri di fiabe. Quando un posto è molto lontano bisogna farsi parecchi amici per poterlo raggiungere incolume, affrontare parecchi avversari e spesso decidere di tornare indietro solo per rendersi conto di quanto sia importante andare avanti. -
- Ora. Con il passare del tempo i due si avvicinarono sempre di più per via delle freddi notti passate all'aperto, del timore di agguati e delle impervie, fino ad un certo punto in cui erano stati costretti a dormire insieme. Da quel momento avevano iniziato a farlo sempre più spesso. - Rise sommessamente guardando verso la moglie - Bizzarro se pensate che Leania era più alta di Lasar di quasi quindici centimetri, più snella e molto più attraente. - Gli occhi si persero nel vuoto e la mente iniziò a divagare - Ricordo che i raggi della luna si spandevano sulle sue gote alte, come una goccia d'acqua sarebbe scesa dalla più liscia stalattite per andarsi a poggiare su una dolce polla pronta ad accogliere la stilla e le onde che ne sarebbero derivate. - Abbassò il volto - Il suo corpo era perfetto, alta e bellissima, una voce in grado di emulare il fruscio delle foglie in una notte di delicato vento che soffia attraverso cavi tronchi, tane di reconditi sogni. Movenze seducenti e leggere, provocanti e non per questo meno delicate. Sembrava un sogno per il giovane Lasar. - Si fermò e si accorse che i due bambini lo stavano guardando con l'aspetto di chi guarda un pazzo pronunciare parole senza senso in un vorticoso discorso autoconclusivo.
Il vecchio Ulrich rise e venne preso da un altro colpo di tosse - Scusatemi bambini, forse mi sono lasciato troppo prendere la mano. -
I due annuirono e l'anziano nonno sospirò a mento basso - Forse è il caso di farla finita con questa storia, dopotutto sono solo tante parole... -
- No, nonno, belle parole - Lo corresse il piccolo spalancando gli occhioni.
- Come finisce la storia? - La curiosetta inclinando la testa.
- Orbene. - Stinse le labbra quello - I due arrivarono alla fortezza due anni dopo essere partiti, recuperarono la reliquia e fuggirono, tornarono un anno dopo quando la donna aveva un anello di quarzo alla mano sinistra ed aspettava un bambino, il mago stesso aveva un anello di quarzo al dito da lei donatogli. Stettero insieme finché la morsa del caos non stroncò le loro vite ancora giovani... - Si fermò pensieroso e quasi triste - Loro figlio si salvò, ma nessuno seppe che fine aveva fatto... -
Ci fu un istante di gelido silenzio che sembrò durante l'eternità di una clessidra senza sabbia.
- Non è una bellissima storia... - Concretizzò in breve Augustine
- A me invece è piaciuta, si amavano e sono morti insieme... - Ribatté la piccola Ambra.
- Vedete nipoti miei, quando sarete più grandi... - Continuando a sospirare non potendo fare nient'altro e riflettendo su ciò che stava per dire - Chiedete a vostra mamma di farvi leggere i miei libri, e ricordatevi di questa storia. Allora capirete molto di più. -
I due annuirono.
- Promettetemelo. - Redarguì lui.
- Lo promettiamo.- Risposero all'unisono i due bambini.
In quell'istante la porta si aprì in un sottile cigolio ed Adia entrò timorosa facendo ben attenzione a non provocare troppo rumore con i tacchi dei suoi stivali. Chiamò i bambini che salutarono il nonno con un bacino sulla guancia e, ringraziandolo per la strana ed inusuale storia, corsero ad abbracciare la mamma rossa in volto e con gli occhi umidi socchiusi dalla stanchezza. Jason stava aspettando fuori, dopotutto aveva sostituito da troppo poco tempo il precedente marito della moglie e non gli era parso corretto apparire in determinate circostanze nonostante l'ex di lei fosse una sorta di pazzo dipendente dagli alcolici più amari.
Aida saluto il padre con un bacio sulla fronte e lo abbracciò più forte che poteva, quando cercò di parlare Ulrich la fermò dicendo - Non servono parole, principessa, saluta tua madre e vai a casa. - Le prese delicatamente le guance tra le mani - Ti amiamo entrambi. - Lei annuì di fronte al rigore del padre che seppur accompagnato da un lieto sorriso era stato categorico. Salutò la madre dormiente e trattenendo le lacrime strinse nuovamente la fredda mano al genitore, si tolse la sciarpa mettendola intorno al collo del padre che ringraziò inalando il dolce profumo della figlia ed infine si chiuse la porta alle spalle in amare lacrime di rassegnazione.
Il rumore dei tacchi nel corridoio si fecero sempre meno intensi, come i singhiozzii, finché non sparirono del tutto.
Ulrich inspirò profondamente e guardò nuovamente verso la moglie, stesa sul suo letto con la mano protesa verso il basso in balia della gravità - Sei stata molto dolce, amore mio... - Le prese la mano e la strinse non ricevendo risposta - Hai aspettato che andassero via... - Poggiò il suo palmo sulla sua guancia - Grazie. - L'elettroencefalogramma dell'anziana donna diminuì sempre di più la sua frequenza fino a diventare piatto in pochi secondi, Ulrich si sforzò di staccare la spina del macchinario della donna facendogli smettere di emanare suono. Levò gli aghi con le flebo dal proprio corpo mentre una triste lacrima di consapevolezza gli rigava il volto, lasciò cadere la sua mascherina per l'ossigeno in terra e staccò anche la spina dei suoi macchinari.
Con non poca fatica si alzò dal lettino ed aiutandosi con la parete e la sedia posta li dai bambini si mosse verso il letto della moglie, salì e si infilò sotto le coperte con lei. Le prese la mano e baciandole un'ultima volta l'anello di quarzo sulla mano sinistra chiuse gli occhi - Alla prossima vita, amore mio. - sorridendo.

La famiglia Paul viaggiava in rispettoso silenzio sull'autostrada, ognuno perso nei suoi pensieri, nei suoi problemi e nei racconti che non dovranno essere dimenticati. Il sole tramontava davanti ad imponenti nembi, il loro colore era di un pallido rosso come sarebbe potuto solo essere il cuore di un amante, in comunione con chi realmente ha cercato nel tempo, tra gli anni, nelle vite e negli universi per riconciliarsi ed infine potersi dire solo: a presto.

Fine
Qui finisce questo racconto, non voglio che venga ricordato come una storia cruda ma bensì come l'essenza di ciò ch'io penso amor voglia dir in questo mondo . Mi auguro di avervi regalato la stessa emozione che chi ha vissuto la vicenda ha regalato a me, seppur triste è ciò che è accaduto e come tale va rammentato, parole scritte su carta di chi per l'altro tutto ha donato.

Alla prossima storia.
Sean Foster 



mercoledì 6 febbraio 2013

Eterno 1

Eterno
( parte 1 di 2 )

Il rumore dei loro tacchi rimbalzava sulle pareti assestanti come lo avrebbe fatto una scura pallina di plastica in una stanza quadrata, adorna di spogli muri bianchi macchiati dal tempo e dagli aloni d'umidità che si spandevano sul soffitto come lo avrebbero fatto le radici di una quercia su di un fertile terreno chiaro. I bambini non erano inquieti quel giorno, pensavano come ovvio che sarebbe stata una semplice ed allegra gita a trovare i nonni in ospedale per via di un poco di semplice tosse che, tuttavia, per non degenerare aveva bisogno di essere curata nel più meticoloso dei modi; in un'apposita struttura medica.
- Dovrebbe essere questa. - Le parole uscirono dalla bocca della giovane donna con timore ed ansia ma ciò non di meno con fermezza e rigore, suo padre era stato ricoverato da poco insieme alla madre per un tumore terminale ed i medici, da ciò che avevano lasciato capire poco prima al telefono, non auspicavano buone notizie - Almeno così penso. - Concluse esitando sull'opaca maniglia d'ottone con la mano avvolta dall'abbraccio di un morbido guanto di pelle di renna. L'uomo che la seguiva si chinò sulle ginocchia per dire due parole ai bambini dopodiché si portò dietro la moglie, cingendola con un braccio in vita e portando la mano libera su quella della compagna incoraggiandola sopra la maniglia - Adi, cara, dietro quella porta non c'è niente di più rispetto a ciò che già sai. - Sorrise mostrando i denti bianchi parzialmente nascosti dai peli dei lunghi baffi neri che gli scendevano lateralmente fino al mento.
Lei, continuando ad opporre resistenza con il braccio per non ancora aprire la porta, annuì e ricambiò il sorriso in un breve istante di lucida consapevolezza che portò la sua mano a spingere la maniglia verso il basso. Il corridoio era vuoto, le pareti erano verdi e spoglie se non per qualche quadro inespressivo che faceva sfigurare ancora di più le tavole d'anatomia e gli avvertimenti sanitari racchiusi in sottili cornici di vetro lucido. Non un rumore poteva essere udito se non i fischi ed i corti suoni elettronici di macchinari accesi intenti a tenere in vita i pazienti nel reparto d'ospedale di terapia intensiva; pesanti bombole d'ossigeno, flebo ed altre strumentazioni che un bambino non dovrebbe vedere. Effettivamente sarebbe corretto dire che i bambini non sarebbero dovuti essere presenti ma la madre aveva insistito con il capo reparto per fargli vedere un'ultima volta il nonno, da quello che era infatti riuscita a dedurre dalla breve chiamata dell'ospedale suo padre, come la madre, erano entrati in uno strano stato di piena coscienza nonostante il cancro fosse arrivato a stadi impossibili da arrestare e, di conseguenza, mortali.
- Venite bambini e mi raccomando di non fare caso a quello che sentite, qui le persone vengono per riposare ed alcune tendono a lamentarsi. - Aveva redarguito Adia scompigliando i biondi capelli dei figli ed inarcando visibilmente le labbra rassicurandoli.
- Se vengono qui per riposare perché si lamentano, mamma? - Aveva domandato Ambra, la più piccolina, spalancando i grandi occhioni azzurri per la curiosità e facendo eco nel corridoio con la sua vocina alta.
La donna guardò verso il marito che aveva impercettibilmente aperto le braccia
- Silenzio, tesoro, qui la prima regola è il silenzio. - Le aveva risposto lei mettendole il dito indice sul naso per poi porlo davanti alle labbra rosee e guardare Augustin, il figlio più piccolo di circa sei anni, che mettendosi entrambe le manine guantate di lana davanti la bocca annuì.
La famiglia mosse i primi passi all'interno del corridoio dell'ospedale, la luce delle piccole e tonde lampade fissate al soffitto si rifletteva con esile luce sulle mattonelle in marmo del pavimento a scacchiera bianca e nera; luccicando tal volta quando ancora umide di detersivo.
I loro nasi si arricciarono per via dei forti odori che riuscivano a percepire: alcol, iodio, ammoniaca, disinfettante ed un debole aroma chimico di limone che proveniva dai bagni socchiusi, dove un mocio ed un secchio colmo d'acqua lasciavano intuire che fossero in atto le pulizie pomeridiane. Una sola finestra dava verso l'esterno ma la tendina di stoffa cadeva davanti pesante sul parapetto interno come le pene che affliggevano chi era costretto in quei letti anonimi, plasmati da troppa solitudine. Andando più avanti passarono le stanze numero tre e sei sulla sinistra per quindi arrivare alla nove subito davanti alla stanza degli infermieri, dove la porta accostata lasciava a malapena sfuggire la bassa voce del giovane capo reparto in carriera intento a discutere questioni d'ospedale con gli infermieri di turno. I quattro si fermarono davanti la porta della stanza numero nove, papà Jason sistemò le giacche a vento dei due pargoli ed il cappellino in lana rossa sulla testa del maschietto per poi rivolgersi alla moglie - Entriamo prima noi, poi, se sarà il caso, faremo entrare anche i bambini. - Propose.
- No. - Aveva sentenziato quella fissando il numeretto in plastica nera sulla porta che aveva davanti - Entro io, non voglio che i bambini restino qui fuori da soli, poi verrò a chiamarvi. -
Non lasciò il tempo al marito di controbattere che spinse la porta, priva di maniglia, verso l'interno ed in un corto cigolio entrò all'interno della modesta stanza. La luce era molto fioca e filtrava giallastra attraverso i rami di un'alta quercia che sporgeva davanti al finestrino in volumetrici raggi che si spandevano sulle tendine giallo sbiadito davanti al vetro; anche quelle verdi pareti erano spoglie se non per l'alone bianco lasciato dalla forma di un probabile crocifisso ed un armadietto azzurro posto vicino al bagno privato.
Stesi sul letto c'erano i suoi genitori, lui la fissava con i suoi occhi azzurri ed un debole sorriso sopra la folta barba ancora bianca che scendeva fino al petto. Per sua espressa volontà non era stata tagliata, essendo quello un ospedale privato nessuno avrebbe potuto troppo opporsi alla rigida decisione di un vecchio terminale. Lei sembrava dormire, attaccata al respiratore, con due flebo, stesa sul lettino ed avvolta da bianche coperte sembrava l'ombra di ciò che nella realtà rimarrebbe di una principessa delle fiabe: i lunghi capelli bianchi le incorniciavano il volto magro ma elegante, le palpebre chiuse truccate con un leggero ombretto color carne scura avevano deboli tremiti, le mani con le unghie ancora curate erano incrociate sul petto che si alzava e si abbassava regolarmente sospinto da un tubo trasparente che finiva con una mascherina davanti la sua bocca chiusa.
Il vecchio fece forza sugli avambracci e portò la schiena in maniera più eretta sullo schienale del lettino inclinato, si tolse il respiratore e la figlia ebbe un sussulto che lui si affrettò a fermare mostrando il palmo della mano sinistra - Non preoccuparti, tesoro... - Parlò con voce saggia ma roca, tarata dal tempo, le rughe ai bordi degli occhi si accentuarono quando sorrise ed i suoi baffi confusi nella barba sembrarono simpaticamente allargarsi - Non mi serve davvero, riesco a parlare ma quando dormo i dottori dicono che ho difficoltà respiratorie. - Cercò invano di rassicurarla.
Adia aveva posto entrambe le mani sulla giacca di pelle marrone strette davanti al cuore - Hai visto? - Continuò lui tentando di nascondere una fitta di dolore al torace - Ogni mattina, quando mi alzo, la trucco e le do un bacio sulle labbra. Dopo sessantasette anni ancora qui, hanno provato ad impedirmi di alzarmi ma ho il diavolo in corpo, io, non saranno quattro pavoni a fermarmi. - Si sporse sul lato destro del lettino e portò il braccio tremante su quello della moglie, stringendo delicatamente il suo pugno intorno all'esile avambraccio di lei - Sorride quando la trucco, quando riesce a parlare dice che vuole essere bella per me e per il ballo di domani. - Inspirò profondamente guardandola quasi con rimpianto - Il suo oggi è sempre il suo domani. - Carezzandola con la dolcezza di chi per la prima volta abbraccia la sua amante.
Adia si costrinse con anima e corpo a mantenere la dignità ed a non mostrarsi debole - Papà, io ho portato i bambini.- Si morse il labbro inferiore trattenendo una lacrima e le cadde l'occhio sull'elettroencefalogramma della madre, debole ma ancora pulsante - Pensi sia il caso di... -
- Assolutamente si, voglio salutare i miei nipoti. - Decretò quello con fermezza.
Lei annuì ed uscì dalla stanza senza pronunciare un ulteriore parola. Si chiuse la porta alle spalle e si sforzò di apparire tranquilla sotto lo sguardo interrogatorio del giovane marito - Venite bambini, la nonna dorme per cui non parlate ad alta voce, non svegliate il nonno e per qualsiasi cosa correte a chiamarmi. - Disse loro chinandosi sulle ginocchia coperte da neri pantaloni di seta e facendo ricadere i lunghi capelli sulle cosce.
- Foglia di primavera, io non so se... - Jason aveva provato ad interromperla ma lei si rialzò immediatamente e con fermezza - Nella vita ho imparato tante cose, Jas, e tra queste che non voglio negare ai miei genitori di vedere i loro nipoti come vorrei i nostri bambini non facessero con noi. -
Le mani alzate dell'uomo si scontrarono per un istante con il cellulare che usciva dalla tasca del suo cappotto facendolo rientrare nello scompartimento adeguato, cercando di sottrarsi al confusionario ragionamento della moglie ed abbassando la testa - Non sono nella posizione di mettere bocca. -
Lei abbassò lo sguardo e lo abbracciò - Scusami tesoro... - L'altro l'aveva cinta con entrambe le braccia e le aveva carezzato i capelli - Non c'è problema, foglia di primavera. - La sciolse dalla stretta e le prese il mento tra il pollice e l'indice - Vuoi entrare con loro o preferisci parlare con i medici? -
Quella scosse la testa - Vorrei che io e te andassimo a parlare con i medici. -
Lui annuì.
- Forza bambini. - Batté pacatamente le mani la mamma - Andiamo a trovare i nonni e ricordate: niente domande sul posto dove stanno altrimenti il nonno si arrabbia. -
La bionda figlioletta inclinò la testa sprofondando nella soffice sciarpa di lana bianca - Perché? -
- Perché te lo dico io, tesoro. - Severa.
- Va bene, mamma. - Parlò il pargolo più piccolo incrociando le dita davanti le labbra per poi baciarle in un sonoro schiocco - Pesciolini nella bocca. -
Lei abbracciò i bambini ed aprì la porta - Salutate il nonno. - Sorrise, ed i due piccolini agitarono silenziosamente le manine.
- Eccoli. - Esclamò stancamente il nonno allargando di poco le braccia e cercando di nascondere nelle maniche gli aghi delle flebo - I miei due cavalieri senza nome. - I due quasi esplosero di gioia sentendosi chiamare così e guardarono la mamma che gli fece cenno di andare. Adia rimase un breve istante a guardare fermando quell'immagine nella sua memoria come una macchina fotografica avrebbe catturato su nuova carta la stessa scena già vissuta in tempi andati. Aveva chiuso nuovamente la porta alle sue spalle ed era uscita dalla stanza a volto basso ma con le labbra inarcate verso l'alto, mentre la mente era persa nei ricordi.
- Come stanno? - Chiese quello.
Lei non riuscì a rispondere, si morse il labbro inferiore tinto di rosso - Andiamo a parlare con i medici. -

- Venite, venite qui sul lettino di nonno. - L'anziano uomo aveva chiamato i bambini battendo due colpetti sul materassino coperto da pallide lenzuola azzurrine, i due giovanotti si erano guardati e senza fiatare si erano mossi in coordinazione prendendo uno una sedia e l'altro usufruendo della stessa per salire ed aiutare l'altro a fare lo stesso. La piccola Ambra si guardò intelligentemente intorno e con spiccata curiosità inclinò la testa da una parte e poi dall'altra facendo battere un fioco raggio di luce sul suo guancino candido - La nonna dorme? - Domandò poi con disinvoltura ma protendendosi verso il nonno nel tentativo di parlare con il tono di voce più basso possibile.
Il vecchio Ulrich arricciò simpaticamente le labbra e spalancò le palpebre facendo saettare gli occhi prima destra e poi a sinistra, aggrottò la fronte e come a voler confidare un segreto annuì provocando deboli e coperte risatine nei due nipoti. Rise un poco insieme a loro, tossì avendo ben cura di coprirsi la bocca con la mano ossuta e sorrise - Come state bambini? - Aveva domandato rilassando i muscoli del volto.
Augustin tirò su le spallucce per poi riabbassarle - Bene, nonno, grazie. - Tirò distrattamente su con il naso ed una piccola gocciolina di condensa gli si formò sulla punta dello stesso, come la mamma gli aveva insegnato prese il fazzolettino di stoffa azzurra dalla tasca del cappottino e si pulì - Te come stai? -
Il nonno fece per rispondere ma la piccola s'intromise prima - Perché sei qui? - aveva chiesto domandando con sfacciata prontezza ed ovvia disobbedienza - Perché ci sono tutti questi computer qui? e tutte queste cose strane? - Ci pensò su un centesimo d'istante che passò come un granello di sabbia cade in una clessidra di nuovo vetro lucido e sfavillante - E perché non ci sono disegni qui? Perché ci sono questi tubi strani? -
Ulrich aveva già cominciato a scuotere la testa alla prima domanda ed all'ultima sembrava fosse uno di quei giocattoli di plastica chiamati bobble head - Perché? Perché? Perché? Perché? - Le fece il verso cercando di imitarla ma fallendo nel vano tentativo, seppur riuscendo nuovamente a far ridere i due - Perché invece non mi raccontate di voi? - Chiese alzando le sopracciglia ed aprendo ancora più scenicamente gli occhi.
I due piccolini si guardarono e fecero spallucce - A scuola andiamo bene e Augustine ha fatto un sacco di amicizie questo mese. - Spiegò perspicacemente la piccola sapientina - La maestra ieri mi ha detto che sono bravissima e alla verifica su storia ho preso distinto. - Si atteggiò stringendo le labbra ed annuendo nell'enunciare all'anziano nonno quanto lei fosse brava.
- Ci racconti una storia? - Aveva poi improvvisato il giovane Augustine facendo dondolare le gambe fuori dal letto mentre la sorellina aveva cura di tenerlo in vita affinché non cadesse.
La domanda era suonata così voluta e spontanea, detta più con gli occhi desiderosi di apprendere che con le ancora semplici parole che non riuscivano neanche marginalmente ad esprimere la voglia di sapere del bambino. Il suo era un mondo fatto di colori e nuove sensazioni, parole che si mischiavano a queste dandogli modo di esprimersi per permettere agli altri di comprendere parte di quel concetto che avvolgeva il piccolo in centinaia d'esperienze ogni giorno mai provate. Libri bianchi che altro non aspettavano di essere scritti con tinte quali sono l'igenua mente priva di preconcetti di un bambino sapeva tracciare. L'altra annuì.
- Una storia... - Rifletté ad alta voce il nonno. Si girò verso la moglie e gli cadde l'occhio sul suo encefalogramma, guardò fuori dalla finestra ed infine all'anello che lei portava al dito anulare: una fede celtica acquistata in Irlanda durante gli anni sessanta . Portò nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra - Forse è ora di una vera, storia. - Sospirando profondamente ed irrigidendo i lineamenti del volto. Si girò nuovamente verso i nipotini che lo guardavano ansiosamente e desiderosi di ascoltare - Avvicinatevi - Disse lui mostrandosi felice - Vi racconterò una storia che non avete mai sentito. -
Loro si avvicinarono strusciando sulle coperte, lui guardò verso l'orologio e decise di farsi forza
- Allora. - Cominciò - Tanti, ma veramente tanti, anni addietro in un mondo che noi non conosciamo e non abbiamo mai conosciuto... -
- Perché? - Chiese la giovane.
- Ssst, non interrompere. - La fermò subito il fratellino poggiandole una mano sulla gamba e mettendo il broncio. Lei alzò gli occhi al cielo e sospirando - Continua, nonno, scusami per averti interrotto. - Disse.
Lui annuì - Grazie cavalier Ambra - Scompigliandole i capelli ed evidenziando per lo sforzo i muscoli del braccio destro, ancora parzialmente delineati da tanti anni vissuti a praticare le molte arti apprese - Come vi stavo dicendo... - Riprese - In questo mondo c'era un giovane mago, si chiamava Lasar, ed aveva preso carico di una delle più gravose missioni avesse preteso l'imperatore di Antora, una delle più grandi terre che delineavano i confini del continente più grande che quel mondo avesse mai visto; in lingua antica si chiamava Aluan ovvero: ai confini del mare. -
- Che vogliono dire: deligneare e continente, nonno? - Domandò Austine, curioso. La piccola Ambra che leggeva già da molto tempo sospirò sonoramente e si girò verso il fratello - Delineare vuol dire che fa da confine, mentre il continente è un grande pezzo di terra che rinchiude altri pezzi di terra. - Ci pensò su - Un pezzo di terra molto grande. - Spiegò. Il fratellino ci rifletté un attimo su e facendo il paragone con il confine che divideva il suo spazio da quello della sorellina, nella cameretta, ed un grande pezzo di terra su cui ogni tanto si sedeva per guardare le formiche, fece cenno di aver capito.
- Un grave male affliggeva in quei tempi l'imperatore. - Ricominciò a raccontare il nonno respirando profondamente e buttando ogni tanto un occhio sulla moglie - Un oggetto molto importante, sacro, era stato sottratto dalle sue mani durante una delle ultime battaglie contro il male caotico e per via delle ferite riportate in guerra, come anche per via della sua posizione di imperatore, non poteva partire lui stesso per recuperarla. Ora, accadde che questo imperatore di nome Sergem convocò a corte i più grandi maghi di ogni disciplina, ogni ordine magico accorse alla chiamata e tra questi v'era anche Lasar, esponente massimo nonostante la sua giovane età dell'arte della manipolazione della materia. - Si accorse di aver detto qualche parola troppo complessa e strabuzzando un istante gli occhi si affrettò a correggersi - Questo vuol dire che questo mago poteva modificare le cose che possiamo vedere, trasformandole in altre cose. Caotico vuol dire confusionario. -
I due piccolini ebbero un sussulto - Anche le montagne? - Domandò il giovane Augustine estasiato dall'idea. Il veccho Ulrich si lasciò andare ad una sommessa risata - Non era così potente, nessuno lo era nell'impero se non pochi malvagi maghi, più somiglianti a mostri che persone, che si vendevano ai malvagi trovandosi trasformati in orribili creature che tuttavia potevano disporre di un potere più forte. - Spiegò, poi tirò su con il naso e strinse le palpebre - Disporre vuol dire che potevano avere. - Guardando il piccolo che annuì soddisfatto.
- Ora, non ci fu nessuna gara e nessun duello. L'imperatore cercava un volontario che sarebbe dovuto partire da solo per non essere trovato dal nemico; l'imperatore non avrebbe mai chiesto a nessuno di recarsi in quel malvagio posto che viene chiamato Hitlar Gror e che potrei descrivervi solo come una nera valle con una cittadina arroccata su una ripida montagna solitaria... -

- Hanno detto di aspettare ancora qualche istante. - Aveva riferito Jason uscendo dall'infermeria del reparto dopo aver scambiato due parole con il responsabile dello stesso - Stanno terminando di svolgere degli affari interni. - Le aveva spiegato quando lei aveva iniziato a far battere nervosamente i tacchi sul pavimento facendo ben attenzione a non esercitare tanta forza da creare una eco - Ma come mai questo attacco? - Chiese poi, come ricordandosi solo in quell'istante dei suoceri.
Lei scosse la testa - Non so. Pochi mesi fa stavano bene, papà ha pubblicato il suo ultimo libro sulla spiritualità e la scienza, poi sono stata chiamata e da Londra siamo dovuti correre qui. -
L'altro aveva abbassato la testa ed inspirato profondamente - Era ancora un sostenitore di quella strana teoria? -
- Si - La conferma della bionda uscì secca e definitiva - Il sei giugno doveva parlare ad una conferenza per spiegare come la teoria scientifica del multiverso potesse conciliarsi con la reincarnazione che, volgarmente, definiva pagana e come lo stesso fatto delle reminiscenze potesse fungere da strada per gli studi da seguire. -
L'uomo aveva lisciato entrambi i baffi con i palmi delle mani - Uno strano campo di studi, quello. -
Lei fece spallucce - Lui ci credeva e ci crede tuttora, anche mia madre lo ha sempre seguito e supportato sostenendo le sue teorie a discapito delle critiche. - Si girò nervosamente dando le spalle al marito, non per scortesia quanto per la necessita di doversi muovere per tentare in qualche modo di ingannare l'attesa con il fisico oltre che con la mente - Da qualche anno a questa parte so che aveva ricominciato a studiare le rune svedesi e che aveva preso un paio di poemi medievali per cercare quelli che chiamava: indizi persi nelle pagine. - Si girò verso la finestra e socchiuse un occhio per lo sbalzo di tensione sulla lampadina sopra di lei che per un istante la abbagliò - Aveva addirittura trovato qualcuno disposto ad investire dei soldi, circa due anni fa, e questa sarebbe stata l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato. Ha intensificato i suoi studi ma poi c'è stato il cancro, la sua volontà di non volersi far ricoverare, di non voler essere di peso alla famiglia e di voler terminare i suoi studi. -
- Capisco. - Disse l'altro semplicemente.
- è sempre stato un padre affettuoso, sempre, quel poco che ci ha fatto mancare ce lo ha ridato con il tempo. - Si intenerì presa dalla foga e dai ricordi come dalla paura e dal timore - Ma l'amore, quello che più è importante in una famiglia, non è mai mancato. - Una sottile e delicata stilla solcò la gota sinistra della donna scendendo fino al meno per poi ricadere lentamente in terra infrangendosi in tanti piccoli frammenti di fluido vetro. Dimore di eventi ed infiniti mondi creati con il passare degli anni, in quei piccoli momenti di cui spesso è difficile ricordare se non in sottili sfere di vetro, chiuse fuori da quel mondo che tanto chiamiamo: realtà.

Fine Parte Prima.

Questi giorni pubblicherò la parte due che andrà a concludere questo breve racconto.
A voi la parola, alla prossima storia. 

Sean Foster 

Salute

Solitamente si inizia con un saluto ma non sapendo esattamente a chi mi rivolgerò ho qualche dubbio sullo stesso da utilizzare, per questo mi limiterò a : salute.
Ho creato questo blog per scrivere brevi racconti che ogni tanto mi vengono in mente, non potendo crearci sopra uno o più romanzi e non avendo il tempo materiale per scriverli e pubblicarli in una raccolta, ho preferito aprire Foster's Lair su cui intendo condividere le storie che mi vengono in mente con il net ,sperando di poter allietare il vostro tempo e regalarvi qualche emozione.
Ciò che scrivo è solitamente diviso in parti non volendo appositamente dividere tutto in capitoli, la grafica di questo blog è ancora in costruzione e per quanto non sia per me una priorità farò di tutto per renderlo più piacevole alla vista. Il genere predominante per cui scrivo è il Fantasy ma non per questo potrei ogni tanto variare tema e buttarmi sullo storico se non altro.

Nel caso, spero non remoto, in cui appreziate ciò che scrivo vi chiedo solo di condividere questo modesto portale con i vostri amici. In quanto scrittore fa piacere sapere che ciò che scrivi può essere letto e prendere vita nelle menti di molte persone. Sentitevi liberi di commentare ogni singolo post.
Ora che vi ho spiegato e detto a cosa andate incontro vi auguro una buona lettura.

A presto.

Sean Foster